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Un libro da assaggiare


Un libro da assaggiare: “Storie di cibo nelle terre di Expo”

Tranquilli non stiamo tornando a parlare di Expo ma dei territori che lo hanno ospitato, quelli situati nella zona nord-ovest di Milano, ricchi di storia, tradizioni, personaggi, usanze e…ricette!

Spinte dalla curiosità di sapere qualcosa in più della loro terra natia, Nadia Toppino e Roberta Rampini (entrambe nate a Rho) hanno visitato i comuni del nord ovest milanese (Novate, Pregnana, Rho, Lainate, etc.) e armate di penna e forchetta hanno annotato e riportato tutto ciò udivano, assaggiavano, chiedevano. Ne nasce un libro che non è solo un tour enogastronomico ma è anche una raccolta di volti, parole, aneddoti, profumi e ricordi.

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Le pagine sono ricche di storie e di piatti insoliti e sorprendenti, come le rane fritte, che attenzione si catturavano solo nei mesi con la “r” e di cui si friggevano esclusivamente le cosce; o come la russumada, dolce che dava energia, a base di uova, zucchero e vino rosso; o ancora come la paciarella dolce il cui interno nascondeva un cuore morbido di cioccolato che si scioglieva in bocca; i mondeghili, le polpette a base di carne di maiale o manzo già cotta (non cruda!) mescolata a mortadella, uova, patate lesse, pangrattato e cotte nel burro.
Non mancano gli aneddoti storici, come gli asparagi che tanto piacevano a Giulio Cesare che, quando li assaggiò per la prima volta conditi con burro e pan grattato (i cosiddetti asparagi alla milanese), esordì con la frase, diventata celebre, “De gustibus non disputandum est”, riferendosi ai suoi collaboratori che avevano arricciato il naso assaggiando il piatto. Sono numerose le ricette a base di carne d’oca, come l’oca arrosto, l’oca tonnata, l’oca ripiena, perché è un animale che non richiedeva grosse spese di mantenimento, ma si poteva nutrirla anche con gli avanzi della cucina. Sulla sua carne si diceva che “l’è bona ma poca”, cioè che è buona ma bisogna mangiarne poca perché estremamente grassa.
Tra le ricette è presente addirittura la cassoeula d’oca, un’insolita variante a quella tipica milanese. Anche i nomi delle bevande sono alquanto sorprendenti, come il caffe del ginnoch, così chiamato perché cuoceva in un pentolone attorno al quale non c’erano sedie ma solo panchette su cui poggiare il piede e rialzare il ginocchio o come lo sciachetrac una tazzona metà spuma e metà vino.

Ma attenzione! Nel libro non si parla solo di ricette della tradizione milanese, ma di cibo in tutte le sue sfaccettature e quindi anche di “cibo come integrazione”, come nel caso del comune di Baranzate, in cui il cibo diventa uno strumento per imparare l’italiano da parte delle numerose donne immigrate. Anche l’aspetto curativo del cibo non viene trascurato: i rimedi naturali contro ogni “male”, come la “Santa malva”, chiamata così proprio per il potere lenitivo delle sue foglie che una volta bollite si applicavano sulle parti doloranti.

L’ultima sezione del libro è dedicata a sei grandi chef che, dopo aver girato il mondo per formarsi professionalmente, hanno deciso di ritornare e di aprire il proprio ristorante nei territori del nord-ovest milanese, in cui sono nati e cresciuti e in cui hanno scoperto il loro amore per la cucina. I piatti che propongono nei loro menù sono tutti accomunati dalla tradizione che ciascuno interpreta e attualizza a modo proprio.
In appendice sono raccolte le ricette tipiche milanesi come il pancotto, l’ossobuco, la cotoletta, in modo che il lettore possa lui stesso replicare e provare.
Al termine della lettura si ha come la sensazione di essere avvolti da una nuvola di sapori, colori, profumi, volti, parole, espressioni dialettali che lascia inebriati. E voi cosa aspettate ad “assaggiarlo”?

 

Per maggiori informazioni: www.facebook.com/Storie-di-CIBO-nelle-Terre-di-EXPO

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