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Il personale di cucina


Quando ho iniziato il mio percorso in cucina, lo chef Zago mi ha passato un foglietto con questo brano di un libro di Orwell. E’ stato più formativo di tante lezioni, e credo che sia utile a chiunque si affacci al magico mondo del cibo e ne voglia comprendere i meccanismi. Perché no, anche da cliente di ristorante.

IL PERSONALE DI CUCINA

La cosa che più di ogni altra sbalordisce chi capita per la prima volta in una cucina di un ristorante o di un grande albergo nel momento del servizio è l’apparente confusione e frastuono.
E’ qualcosa di così diverso dal lavoro regolare di una fabbrica o di una officina, che a prima vista si ha l’impressione di una certa disorganizzazione.
Ma è un fatto inevitabile perché il lavoro di cucina procede quasi sempre a ondate.
Un albergo o un ristorante va avanti perché chi vi lavora è spesso sinceramente fiero di quello che fa, per quanto possa essere bestiale, stupido o faticoso il suo lavoro.
Se uno batte la fiacca gli altri se ne accorgono subito e lo osteggiano.
Cuochi, camerieri e personale di fatica sono molto diversi in quanto a mentalità, ma sono tutti uguali nel sentirsi orgogliosi della loro efficienza.
Senza dubbio la categoria più competente e meno servile è quella dei cuochi.
Non guadagnano quanto i camerieri, ma il loro prestigio è maggiore ed è meno facile che perdano il posto.
Il cuoco non si considera un servitore ma un abile operaio; viene infatti chiamato ouvrier, il che non accade con i camerieri.
Egli conosce il suo potere, sa che dipende da lui la buona o la cattiva fama del ristorante, e che, se lui è in ritardo di cinque minuti, tutto va a rotoli.
Disprezza tutti quelli che non sono cuochi, ed è per lui un punto d’onore insultarli tutti.
Il cuoco trae motivo di autentico artistico orgoglio dal suo lavoro, che richiede grandissima abilità.
Il difficile non sta nel cucinare, ma nel fare tutto al momento giusto.
Dalla prima colazione del mattino, all’ultimo pasto della cena dell’hotel x, al capocuoco venivano ordinate centinaia di piatti, da servirsi in modi e momenti diversi; personalmente ne cucinava soltanto poche, ma dava istruzioni a tutti e li controllava prima che venissero serviti.
Aveva una meravigliosa memoria: i talloncini con le ordinazioni venivano puntate su un’asse di legno posta sul suo tavolo, ma raramente lo chef le guardava. Tutto era registrato nella sua testa e, infallibilmente, quando arrivava il momento preciso per ciascuna, gridava:
“Faites marcher une cotolette de veau”, o quello che era.
Era un prepotente insopportabile, ma era anche un artista……..

Gorge Orwell, Senza un soldo a Parigi e Londra, Mondatori. 1961

Grazie Mister Orwell.

Anna
Anna
About me

Anna Prandoni, giornalista e scrittrice, si occupa da oltre quindici anni di enogastronomia, con particolare attenzione alla storia dell’alimentazione e alla sua influenza sulla cultura e sulla società italiane. www.annaprandoni.it

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