La formazione dei cuochi
Venerdì scorso ho vissuto una bella esperienza a Glocal, appuntamento varesino di studio e approfondimento giornalistico.
Dietro l’effimero mondo della comunicazione televisivo e mass mediale in genere della gastronomia stellata, degli chef attori e testimonial di prodotti di largo consumo, ci sono decine di migliaia di cuochi lavoratori anonimi e migliaia di giovani che aspirano a diventare altrettanti chef.
Si è discusso di come formare nel modo migliore queste nuove leve.
Provo a fare una sintesi significativa dei diversi interessanti contributi scaturiti dagli interventi di chef stellati, cuochi, giornalisti e insegnanti.
Consapevolezza – È fondamentale spiegare la “specificità ” del lavoro, che si svolge in orari e in giorni non convenzionalmente e comunemente considerati lavorativi, anzi è il contrario. Spesso i cuochi lavorano la sera, il Sabato e la Domenica, a Natale, Capodanno, Ferragosto. Altrettanto spesso il lavoro passa lontano da casa, da affetti e abitudini quotidiane e protettive.
Fatica – I giovani sembrano sempre meno capaci di affrontare la fatica fisica e mentale di impegni significativi che richiedono determinazione, chiarezza di intenti, personalità. La fatica intesa come passaggio e crescita non è un valore. Più in generale il valore e la dignità del lavoro svolto in modo partecipativo.
Conoscenza, competenza, abilità. Il cuoco è un bravo artigiano. La sua opera è il frutto dell’intelligenza delle mani; dell’apprendimento del fare, della pratica che poi o contemporaneamente diventa teoria. Ma un cuoco “moderno” non può cucinare se non possiede conoscenze “scientifiche” di scienza dell’alimentazione e quindi della fisica e della chimica degli ingredienti e delle sue trasformazioni. Deve saper usare un computer, deve saper parlare sufficientemente bene l’inglese (non scolasticamente sufficiente) deve saper comunicare correttamente. Ma ancora prima deve avere una preparazione “civica”, comprendere il valore del lavoro di gruppo, del rispetto degli altri, colleghi, superiori o subalterni che siano, degli ospiti ovviamente. Il mestiere si insegna con l’esempio di bravi maestri e attraverso l’insegnamento del metodo e delle tecniche. La ricetta, che per molti sembra l’elemento centrale dell’apprendimento tecnico manuale, è in realtà il risultato di un rigoroso metodo di lavoro e di una corretta esecuzione di un’applicazione tecnica.
L’esperienza in azienda, il tirocinio – È un momento “formativo” determinante che deve essere perfezionato. Deve essere un momento di motivazione, stimolante e utile. Perché sia così, deve essere continuamente monitorato dalla scuola, privata o pubblica, dell’obbligo o post maturità non importa. Deve essere sostenuta dalle aziende che trovano in questa esperienza il loro futuro prossimo e non manovalanza di basso profilo e gratuita. È difficile!
La comunicazione – È stato un incontro inserito in una giornata di studio e approfondimento di lavoro rivolto agli esperti della comunicazione. Questi ultimi, per la maggior parte, sembrano piuttosto disinteressati alla questione. Più attenti a questioni futili, di facile appeal. Preferiscono scrivere storie di personaggi, di cuochi egocentrici che fanno sognare. Di storie di apparente facile successo. Di aziende da promuovere, in modo palese o meno. Di ricette. Di grandi abbuffate o degustazioni “stellate”. Anche il giornalismo gastronomico ha i suoi problemi.
- November 21, 2016
- No Comments
- 1
- cuochi, festival glocal, glocal, glocal2016, varese