Roberto By

Bordeaux e i piaceri della tavola ( parte 1)


Il passaggio da Parigi è solo uno scalo, parrebbe un’eresia, ma stavolta va così, direzione sud ovest, verso l’Atlantico, destinazione Bordeaux e dici vino. Dici Bordeaux e pensi anche ai Cannelés e a “La Grande Maison” di Bernard Magrez, hotel a 5 stelle che fino a poco tempo fa “ospitava” Robuchon, ora che Monsieur Joel ha lasciato è la volta di Pierre Gagnaire, insomma “des petits noms” come ebbe a dire un mio conoscente francese.
Dopo l’aeroporto e le pratiche per l’auto si è subito catapultati tra filari di viti, prima ancora del check-in in hotel. E prima ancora di arrivare in hotel si passa dallo Chateau Les Carmes Haut-Brion.
Si tratta di una vigna che si è tramandata da signori medievali, ai monaci des carmes, fino alla nascente borghesia post rivoluzionaria, insomma le roi, “dieu” e poi il terzo stato, la storia di Francia riassunta in un vigneto. Ad oggi produttori di solo rosso, non biologico, ma a ridotto se non azzerato uso di pesticidi. Gli operai delle vigne sono tre bellissime giumente, andiamo a fare visita anche alle loro stalle, un ambiente rilassante e confortevole, sottofondo musicale incluso, diffuso dalle casse agli angoli della stalla, le operaie si ritemprano anche con la buona musica. Il castello è ancora dimora strettamente privata e non visitabile, la proprietaria ormai entrata a pieno titolo nella maturità, potremmo dire, avendo compiuto i 99 anni. Il parco attorno è mozzafiato per i colori dell’autunno, oltre ai filari si estendono infatti alberi secolari e un piacevole specchio d’acqua abitato da tante vivaci anatre che si fanno sentire. Scenograficamente autunnale anche l’edera rossa che come una fiamma avvolge la facciata del castello, con una doppia scalinata e uno stile vistoso.
Ma il vero pezzo da novanta è la cantina dove avviene la fermentazione e tutte le fasi di lavorazione, dalle botti alle barriques alla bottiglia. Struttura moderna, emerge da uno stagno come una nave rovesciata, ricorda una lama come quella che nella mano dell’uomo raccoglie l’uva, colori che ricordano la terra, superfici curve e lucide nelle quali il parco si specchia, di fronte sembra grigia come il cielo d’autunno, ti sposti di lato e diventa marrone come la terra e le foglie cadute dagli alberi, nessuno stridore con la natura attorno, la modernità che amo, nuova, avveniristica ma integrata. Design degli spazi Philippe Starck, all’interno prospettive profonde, sembra di essere in una nave, linee essenziali e pulite. Tra alberi secolari protetti e vigne indispensabili, lo stretto spazio del corso d’acqua viene rispettosamente sfruttato in lunghezza. Nulla è lasciato al caso, le fughe per terra per garantire il deflusso di qualunque liquido e garantire il massimo dell’igiene. Ci si sente come in una clinica della vinificazione, dove artigianalità, design e scienza si coniugano, senza rinnegare il passato ma in un contesto quasi futurista. Una botte decorata con una sorta di dipinto murales realizzato dalla figlia di Philippe Starck rappresenta l’uomo e la forza della natura, bello, verde bianco e rosso, ma la guida frustra subito qualunque velleità nazionalistica, nulla ha a che fare con la nostra bandiera. Nello spazio sotto terra atmosfera da spazio religioso, luci soffuse, Starck ci avrebbe voluto delle candele come ai tempi dei monaci, ma è rimasta solo un’idea, a parte una lampada a led che imita la fiamma di una candela. Barrique che stazionano senza fretta, aromatizzatori naturali del nettare rosso, alla guida e anche a noi viene spontaneo abbassare la voce, per non disturbare, chi e cosa non si sa.

Passiamo alla sala delle degustazioni dove tutto, dal tavolo alle sedie al lampadario, alle candele a muro (stavolta presenti), persino il taglio delle finestre, è studiato, sembra una vera sala da pranzo di un’abitazione.
La prima giornata volge al termine e già siamo con lo sguardo colmo di cose belle e buone. Prima di sera un giro in centro, a fare conoscenza della città, Cannelés ad ogni angolo e momento, anche a colazione, da Paul e da Baillardran la locale catena specializzata in questo tipico dolcetto di Bordeaux. Punti vendita in ogni dove in città, laboratori a vista e commesse con divise rosso acceso, impeccabili e un po’ anche irrigidite in un aspetto da hostess di compagnia aerea.

Parlare di Bordeaux e non parlare di vino sarebbe per assurdo anche possibile, perché la città è bella in sé e per sé: architetture imponenti ma anche dai volumi contenuti, un traffico e una viabilità mai invadenti, grazie anche ad ampie zone pedonali, strade strette, piste ciclabili e marciapiedi larghi, oltre ad una discreta rete di trasporti con 4 linee di tram e diversi bus. Evidentemente l’educazione alla rinuncia alle quattro ruote non si ottiene né per caso né all’improvviso.

Si faranno notare il complesso monumento ai Girondini in una delle più grandi piazze d’Europa, Place de Quinconces, e poi ancora il palazzo dell’Opera, dall’infinito colonnato. Place de la Victoire con l’obelisco elicoidale del 2005 e la Porte d’Aquitaine del 1749, mentre la pavimentazione è ispirata alla romana piazza del Campidoglio, un pizzico di sano nazionalismo gongola. Poi ancora tutto l’affacciarsi di palazzi storici sulla Garonna, Place de la Bourse le cui architetture illuminate di sera sono più belle che di giorno. E ancora i ponti sulla Garonna vere opere d’arte da quelli storici come Il Ponte di Pietra, dalle diciassette arcate che la leggenda popolare vuole siano tante quanto le lettere in Napoleone Bonaparte, ai più recenti ponti in acciaio e cemento come l’avveniristico ponte levatoio più grande d’Europa, il ponte Jacques-Chaban-Delmas, datato 2013.
La città riserva la scoperta di diverse chiese, molte antiche, altre molto antiche, cosa rara anche da noi ormai, e quindi veri tesori; tra le tante Saint Seurin del XI secolo, o la magnifica Sant’ Andrea, cattedrale consacrata nel 1096. Oltre ai monumenti in muratura un monumento della natura si rivelerà il Parc Bordelais. Migliaia di alberi molti dei quali centenari, in questi giorni cromaticamente il festival dell’autunno. Presenti anche esemplari di animali allevati per preservare le specie dell’Aquitania, specchi d’acqua e atmosfera rilassante. ( continua..)

Roberto
Roberto
About me

Impiegato a tempo indeterminato, ma aspirante "flâneur", almeno nei sogni; un ozio creativo nel quale dedicarsi completamente alla buona tavola, al cucinare, alle arti visive, alla lirica e alla lettura dell'opera omnia di Balzac. Restando coi piedi per terra coltivo queste attività come passioni personali, quando posso, nel tempo libero. Scrivo di cibo perché amare qualcosa e voler comunicare questo amore credo siano una cosa sola, da gourmand aspirante gourmet, sempre pronto ad imparare cose nuove.

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